21/03/14

TRUE DETECTIVE (di Pizzolatto e Fukunaga)




"True detective" non è la serie televisiva più bella di tutti i tempi! E nemmeno la più importante! Però, il solo sentirsi in dovere di fare questa debita premessa la dice lunga sul fatto che stiamo parlando di un prodotto confezionato dannatamente bene, girato da dio, scritto meglio e recitato da due mostri in stato di assoluta grazia... aggiungete che ha un sigla stupenda, una colonna sonora che spacca ed una fotografia capace di illuminare, con tinte fredde e cineree, il malessere dell'intero animo umano... beh, fottesega se siamo solo a marzo, la casella per la miglior serie del 2014 ha già uninquilino.

A mani basse!!!

Ho letto da qualche parte che "True detective" costituisce la prima serie televisiva in cui regista (Cary Fukunaga) e sceneggiatore (Nic Pizzolatto) rimangono gli stessi per ogni singolo episodio. Prendo per buono il dato e ve lo riporto così come l'ho appreso. In tutta sincerità, non ho la più pallida idea se sia vero che non era mai successo prima, ma sicuramente si vede! Eccome!
La coerenza complessiva del progetto è tale che risulta assai difficile parlarne in termini di mero prodotto seriale. "True detective" è piuttosto UN FILM LUNGO OTTO ORE, che ha ben poco, per non dire nulla, della serie televisiva a cui siete abituati. Ed è anche per questa ragione, forse, che può avere senso parlarne su un blog di cinema come questo.
Chissà, magari in futuro ci saranno altre incursioni...

Cos'è, dunque, che rende "True detective" così particolare? beh, tanto per cominciare, l'uso delle tecniche e degli artifizi  tipici del format (twist, cliffhanger, foreshadow) non pare affatto concepito, come avviene sovente nei prodotti seriali, al solo scopo di allungare il brodo e di mantenere viva l'attenzione dello spettatore il tempo sufficiente da fargli raggiungere la fine della prossima pausa pubblicitaria senza cambiare canale... al contrario, essi sono parsimoniosamente centellinati con funzioni prettamente narrative. È, come sempre, una questione di equilibrio. È ovvio che ci siano colpi di scena e indizi misteriosi sparsi in lungo e in largo (altrimenti si farebbe fatica a raccontare una detection a forti tinte noir), ma sembrano tutti giusti, coerenti, plausibili, sensati... non è che sul più bello ti trovi a zompare giù dalla poltrona gridando: cazzo, cazzo, CAZZO, ma il cane parla...  oppure Cribbio, John non è John, ma Jane... no! anzi! è un cavallo...
No, amici miei. "True detective" non funziona così... i momenti di suspance avvengono per un cazzo di motivo e SEMPRE per un motivo legato alla storia... non per far felici gli inserzionisti che ci vogliono piazzare una friggitrice nel mentre aspettiamo di scoprire se Carcosa è una località turistica oppure la porta dell'inferno.




Anche il ritmo non è assolutamente quello tipico del format seriale. La storia procede con estrema lentezza; i personaggi si prendono tutto il tempo del mondo per evolvere, per maturare, per fare quello che devono fare. Per intenderci, in un quarto d'ora di "24" ci sono minimo tre o quattro colpi di scena micidiali, almeno un paio di smascheramenti di tripli giochi e Jack Bauer è probabilmente morto e risorto, non prima di aver seccato almeno una dozzina di terroristi, salvato la figlia da un maniaco e aiutato una vecchina ad attraversare la strada. Ebbene, nello stesso lasso di tempo, i due sbirri di "True detective" sono andati dal punto a) al punto b). Con calma. Con ESTREMA calma. In un viaggio in macchina dove per metà tempo si sono fatti i cazzi loro, guardando fuori dal finestrino e meditando sui grandi mali del mondo e per l'altra metà si sono beccati come galli in un pollaio attraverso dialoghi burbero-filosofici ed assolutamente grotteschi.


È questa la grande forza di "True detective". Succedono poche cose (tenuto conto della durata complessiva della serie), ma, queste cose, lo spetattore ha il tempo di viverle con i propri eroi, di assaporarle, di metabolizzarle fino in fondo.

Questo succede nei grandi film. Quasi mai nelle serie; nemmeno in quelle buone. "True detective" rinuncia quasi completamente alla narrazione verticale del singolo episodio, per dedicarsi esclusivamente al plot orizzontale. Anche qui, nulla di nuovo. L'avevamo già visto nel bellissimo "Top of the lake" o nel crepuscolare "The Killing", non a caso scritta anch'essa da Pizzolato.
In "True detective", tuttavia, questa scelta narrativa viene portata alle sue estreme conseguenze: le informazioni vanno, vengono, ritornano, si accantonano, poi tornano ancora fuori ed alla fine portano da qualche parte. O da nessuna. Occorrono puntate intere perchè il dato x venga associato al dato y e porti al luogo k. Il tutto per ottenere un indizio che, in qualuque altro poliziesco, ti sarebbe stato svelato dal vicino di casa del cugino del protagonista al minuto tre del pilot...


Altra caratteristica di "True detective" è quella di rinunciare programmaticamente - fin dal titolo - allo sviluppo di decine di personaggi, di intrecci narrativi, di sottotrame e storie parallele (invece tipiche del format seriale). Ancora una volta. Non è che siano assenti, ma pesano poco nell'economia del progetto. Cosa interessa a Pizzolatto e Fukunaga, dunque? Molto semplice. Due sbirri. Due biografie. Due visioni del mondo. Due approcci al mestiere. Due immense solitudini.



Come dice il grande e solo Federico Buffa, se c'è una cosa tipicamente americana, ancor più della torta di mele, quella è la solitudine. Ed una certa confidenza con la violenza più efferata, mi permetto di aggiungere.
E la solitudine non è quella esistenzialista da poeta maledetto francese, chiuso nel suo stanzino a bere assenzio, fumare oppio e declamare la vita in splendidi versi. La solitudine americana è piuttosto quella del cow boy, del cacciatore di bisonti, dell'uomo che cavalca al tramonto verso la frontiera circondato da una natura che lo sovrasta e, spesso, lo divora. Quello americano è un rapporto molto più fisico che psicologico con la solitudine. Lo stesso dicasi per la violenza. Quella americana è una nazione di pistoleri, di gente con una visione manichea della vita, che ama l'odore del sapone sul cappio e che ha costantemente bisogno di affermare e legittimare se stesso mediante l'uso (che diviene spesso sopruso) della propria strabordante supremazia fisica.
Gli americani non amano i sofismi della diplomazia... roba da finocchi! Loro preferiscono invadere i continenti, sganciare le atomiche, respirare la puzza del napal al mattino perchè odora di vittoria.
Per cui la violenza, quando esplode, si abbatte con inaudita ferocia.
Gli american conoscono la violenza. La respirano. La praticano. La differenza, forse, è che in qualche modo la legittimano e la rispettano.

Per cui, welcome to Louisiana e preparate gli antidolorifici perchè ci si farà male. Tanto male.





"True detective", dicevamo, non è la serie più bella del mondo. Quel primato spetta di diritto a "The wire" e su questo non ci sono storie. Non accetto dibattiti sul punto. Se la pensate diversamente fatevi il vostro cazzo di blog e stimatevi della vostra pochezza intellettuale perchè ve lo meritate "C.S.I.".
"True detective" è un pugno nello stomaco, ma non è moralmente destabilizzante come "Breaking Bad"; ha delle incredibili peculiarità, ma non è una serie rivoluzionaria (commercialmente, comunicativamente e viralmente parlando) come "Lost". 
È sicuramente una serie molto violenta, ma nulla al confronto di un "Oz" o di un "Deadwood" o anche solo di un "The shield".
Insomma, eccetto forse per la regia, non esiste un solo aspetto di "True detective" che non sia stato già fatto, e probabilmente meglio, da qualche altro prodotto.
Anche la recitazione di Matthew McConaughey e di Woody Harrelson (comunque superlativa) non può dirsi nettamente superiore a quella di Gandolfini nei "Sopranos", di Brian Cranston in "Breaking bad" o di Kevin Spacey in "House of cards". 
Solo la regia si eleva molto al di sopra persino delle migliori produzioni, ma probabilmente perché TUTTA la serie è girata da una STESSA mano.
Tutto ciò, per dovere di cronaca ed amor di verità, andava debitamente puntualizzato, anche al fine di poter valutare col giusto metro tutto quanto andrò di seguito a dire.

Chisseneincula!!!

"True detective" è una serie che spacca letteralmente i culi! bastano due minuti e sei già calato fino alle braghe in un contesto da bifolchi redneck, completamente impantanato negli outback paludosi della Louisiana, infarcito di junk food preconfezionato ed ebbro di distillati maleodoranti prodotti nei serbatoi dei trattori. Gente che parla come se gli crescesse il tabacco direttamente sulla lingua. Gente che fuma come se non ci fosse un domani. Cazzo quanto si fuma in "True detective". McConaughely, praticamente, non fa altro. A parte bere. Cazzo quanto si beve in "True detective".

Insomma avete capito: malessere come se piovesse e rabbia, rabbia, rabbia...




La Louisiana di "True detective" è un mondo di uomini in crisi, di famiglie sfasciate, di solitudini inenarrabili, di violenze domestiche e sociali.

Lo stato, la legge, l'ordine e la disciplina hanno da tempo abdicato ad ogni pretesa anche solo di condividere il trono... tra i bayou del Mississipi, le paludi melmose ed i boschi selvaggi, governano forze ancestrali e superiori. L'odio stupido e razzista nutre coscienze piatte come la Bassa Padana... La salvezza è affidata a deliri di santoni, falsi profeti di sventura, salvatori improvvisati che predicano nei tendoni, alla televisione, in baracche sfasciate che si definiscono chiese solo perché hanno affissa una croce sulla porta di ingresso. Il forte prevarica il debole. Le forze dell'ordine brancolano nel buio della loro stessa inettitudine e mancanza di voglia.





In questo ecosistema di folklore, ignoranza, stupidità, razzismo e superstizione trova terreno fertile la follia e la violenza. "True detective" racconta la più classica delle detection ricorrendo ad un escamotage narrativo vecchio come il mondo: la serie inizia con il più classico incipit ad enigma. E l'enigma si colloga esattamente a metà della storia, consentendo di sviluppare - contemporaneamente - due tranche narrative. Come si è arrivati quaggiù? Come proseguirà la storia?

Serial killers, poliziotti corrotti, politici intrallazzoni, preti satanisti, pedofilia, incesti, razzismo, alcolismo, sesso... "True detective" - da ottimo prodotto di genere - affronta tutto questo e lo affronta molto bene. Ma il centro di tutto sono loro: il detective Cohle ed il detective Hart. Tutto ruota intorno alla loro visione del mondo, al loro rapporto, al loro modo di affrontare se stessi e la propria vita.
Ad un certo punto non te ne frega più un cazzo dell'indagine... non ti importa una sega di sapere chi è il bastardo che da due decenni si aggira libero per la Louisiana seviziando donne e stuprando bambini... chissenefrega di fare tana ai cattivi... ti importa solo di LORO, Rust e Marty, e di quale sarà il loro prossimo sbaglio e di come faranno a cadere ancora più in basso. Si, perchè i nostri due detective sono sbirri cazzuti, tosti e capaci, ma come esseri umani sono due disadatatti e del tutto irrecuperabili. Il primo è solo per scelta, l'altro suo malgrado. Il loro incontro è lo scontro titanico di due immense solitudini che tentano disperatamente di farsi compagnia.

Harrelson e McConaughely sono due autentici mostri che si divorano la scena caricandosi la serie sulle spalle e non mollandola più. Assolutamente imprescindibile la visione in lingua originale, con Harrelson che parla costantemente con la lingua felpata di catrame tipica dei postumi di una sbronza cattiva e McConaughely che tira fuori un accento che dio solo sa dove l'abbia pescato.



E poi c'è la scena della rapina (SPOILER ALERT), che ci ricorda che gli americani, quando vogliono, possono insegnare cinema (certo cinema) a tutti: una decina di minuti che sembra John Woo di "Hard Boiled". Una sequenza totalemente fuori trama e contesto, puramente gratuita e, forse, proprio per questo assolutamente grandiosa e potente. Dieci minuti di camera a spalla in cui succede il PANDEMONIO: Cohle fugge da un campo di negri incazzati come dei puma che vogliono fargli la pelle tra pallottole vaganti che schizzano da tutte le parti, esplosioni, gente che salta per aria... il tutto mentre il nostro prende a calci un bifolco razzista che meriterebbe di morire male come una comparsa indonesiana, ma che deve invece salvarsi perchè gli serve per infiltrarsi in una gang di bikers. Beh, signori, questa sequenza è sì TOTALMENTE INUTILE... ma sticazzi! è come se il regista avesse voluto premiare il suo pubblico per la pazienza (non a caso la piazza proprio a metà della serie, alla fine del quarto episodio). Come a dire ok, ve l'ho menata un botto con i campi lunghi sui canali paludosi di questa terra maledetta da dio e dagli uomini; ve l'ho menata per ore facendovi seguire gente che parla attraverso dialoghi assurdi dentro abitacoli di auto che vanno, a caso, da non si sa bene dove a non si sa ancor meno bene dove; ma ora vi regalo questa perla... anche perchè la carta delle le tette della Daddario (bravissima) me le sono giocate troppo presto e temo che non vi basti per arrivare fino in fondo neanche se vi prometto che si vedranno le chiappe della Simmons (bravissima)...

                                              

Grazie HBO. Grazie Pizzolatto. Grazie Fukunaga. Grazie Matthew. Grazie Woody. E, soprattutto, grazie Alexandra e Lili (bravissime).







GIUDIZIO SINTETICO: Poce storie: serie dell'anno. Bona lè! See ya in Carcosa.

VOTO: 9








2 commenti:

  1. Grande post per una grande serie.
    E concordo: non sarà la migliore di sempre, ma cazzo che bomba.

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  2. ti sei sparato Federico Buffa Racconta, eh?

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