18/03/13

ZERO DARK THIRTY (di Kathryn Bigelow)





Questo è uno di quei film che mi fanno scattare il pippone filosofico… quindi, se la vostra soglia di attenzione non supera i 3 minuti necessari per leggersi tutta la recensione e/o non ve ne frega una cippa delle mie considerazioni sul tema, vi invito a saltare direttamente al giudizio sintetico ed al voto finale. Per tutti gli altri, per quello che vale, eccovi il pippone.

Chiariamo subito un punto: la Bigelow sa girare bene e conosce il proprio mestiere.
Ciò debitamente premesso, ammetto che non sono mai stato un suo fan sfegatato e non sono affatto convinto che “Zero dark thirty” meriti tuti gli encomi e gli elogi che si sono letti in giro…

Altra premessa: a parte “Point Break” e forse “Near dark” (che, se pure non sono delle meraviglie, rimangono due film che si guardano comunque volentieri), non è che la signora abbia prodotto chissà quali capolavori. “Strange days” è uno dei più sopravvalutati film di fantascienza di sempre; quanto a “Blue steel”, “Il mistero dell’acqua” e “K-19” credo di non offendere nessuno se dico che, al massimo, possono aspirare ad un passaggio in seconda serata su Rete 4.
The hurt locker”, almeno fino al suo inatteso trionfo agli oscar, non se l’era cagato proprio nessuno, passando quasi inosservato sia al Festival di Venezia sia ai botteghini. Ed in effetti, a parte la straordinaria fotografia e la solida regia, il film risultava un po’ troppo senza un capo né una coda (sindrome che colpisce, da un po’ di anni a questa parte, alcuni registi statunitensi che si sentono molto “autori”: ogni riferimento a Sofia Coppola non è puramente casuale).
The hurt locker”, però, ha vinto il premio da mille punti e, da quel momento, tutti giù a dire: ma quanto è brava la Bigelow ma quanto è cazzuta la sua regia… ma quanto tosti sono i suoi film… sarà, ma continuo a non vedere brillare la luce del genio.

 Zero dark thirty” è un film che costringe a far un sacco di premesse: come giudicare, infatti, un film del genere? dovrò valutarlo come fosse un qualunque film di spionaggio? o come un action-drama? e se invece fosse un film storico? una docu-fiction? un’opera autoriale?
E come porsi, da spettatori, di fronte alla materia trattata? con cauto scetticismo? con spirito critico? accettando ciecamente il punto di vista della Bigelow? Fregandosene altamente della plausibilità storica e concentrandosi solo sulle esigenze drammaturgiche?

Tutto molto complicato. Ma partiamo dall'inizio.

Un minuto di schermo interamente nero… in sottofondo, le voci delle vittime dell’11 settembre. Bum!!! Luce. E di botto la regia ci catapulta dentro un campo di prigionia dove un agente (il sempre ottimo Jason Clarke) sta maciullando un prigioniero per estorcergli informazioni. Assiste un po’ turbata anche la giovane Maya (la bellissima Jessica Chastain), agente alle prime armi al suo battesimo sul campo.


La ragazzina non ci mette però molto a gettare alle ortiche scrupoli e turbe ed a calarsi a piene mani nella parte. In men che non si dica, il film diventa “Maya vs. Osama”. Con la prima che insegue a testa bassa contro tutto e contro tutti, mentre il secondo si nasconde e colpisce di rimessa.

La caccia si protrae per dieci lunghissimi anni. Nel mezzo: altri attentati, altre vittime, avvicendamenti ai vertici dell’amministrazione, ammorbidimento delle tecniche di interrogatorio, progressi nelle strategie di indagine e mutamento nell'opinione pubblica della percezione della politica internazionale americana…

Ma a Maya non può fregare di meno!
Il mondo cambia, elabora e va avanti, mentre lei continua a muso duro la sua personale crociata. Perché di crociata si tratta: un talebano può essere preso solo da un altro talebano, ancora più ortodosso, deciso e incazzato.
Non c’è tempo per famiglia, amici e nemmeno per una sana sveltina. Ogni sforzo è teso e focalizzato sull’obiettivo. E l’obiettivo si chiama Osama Bin Laden.
Non si sa nulla delle ragioni che motivano Maya e sebbene alcuni abbiano lodato questo aspetto del film, per me, invece, costituisce uno dei suoi principali limiti.

Intendiamoci, mi piace moltissimo l’idea del parallelismo Osama/Maya, entrambi accomunati da un potente odio reciproco e dall’indomita assunzione della propria missione come unica ragione di vita; entrambi provati dai molteplici sacrifici patiti nel perseguimento di un ideale più grande e più importante.
Il problema è che se mi sono ben noti i moventi del primo (per cui non serve spiegarmeli sullo schermo), ignoro completamente le ragioni della seconda: cosa spinge Maya ad annullarsi fino a quel punto? Cosa provoca un odio così totalizzante? Fin dove è lecito spingersi per perseguire l’obiettivo? La meraviglia è che le domande valgono per entrambi i contendenti, ma le risposte più interessanti dovrebbero provenire dall’affascinante rossa e, invece, non vengono nemmeno accennate. 


La Bigelow non è una regista alle prime armi e non può fingere di ignorare che il non rispondere esplicitamente a queste domande costituisca comunque una precisa presa di posizione; il problema è che poi bisogna essere coerenti e portare questa "non-risposta" fino in fondo. E qui casca l’asino.
Provo a spiegarmi: Maya è chiaramente tratteggiata come una fanatica. E non tanto perché è sola, concentrata, agguerrita, progressivamente sempre più spietata, più cinica e disposta a disintegrare ogni ostacolo le si pari davanti per il raggiungimento del proprio obiettivo, ma soprattutto perché è tutto questo in assenza di chiari e ben delineati moventi personali. Cioè, se mi dici che mi hai ammazzato il babbo o la fidanzata facendo schiantare un aereo contro le Torri Gemelle, ci può anche stare che io sbrocchi e viva esclusivamente per vendicarmi e pascermi delle tue interiora (esiste tutto un filone di film che si basa su questo semplice concetto…). Ma se mi fai passare dieci anni a caccia di un terrorista (ad un certo punto Maya dice chiaramente di non aver praticamente mai fatto altro) rinunciando alla normalità di una famiglia, alla bellezza di un amore, alla sicurezza di un’amicizia, anche ad una banale serata in pizzeria e, per di più, senza alcuna ragione personale plausibile (non importa che venga esplicitata, basterebbe sapere che esiste, anche se il personaggio non ne vuole parlare), allora mi dipingi come un pazzo fanatico, affetto da grave forma di dissociazione e sociopatia e per giunta assetato di sangue (ossia un ritratto molto simile a quello con cui il mondo occidentale cerca di dipingere i talebani).

Ed allora, non accetto intellettualmente l’idea che Maya sia umanizzata e, alla fin fine, perdonata. Non dico che la Bigelow abbia inteso giustificare le torture, i bombardamenti sui civili, gli effetti collaterali della politica imperialista americana (che ci ha regalato il Vietnam, Pinochet, il Kuwait, l’Afganistan, l’Iraq e lo stesso Bin Laden)… ma il suo personaggio sì. Ed allora, se Maya agisce, ragiona e sente esattamente come la propria nemesi, allo stesso modo essa deve essere giudicata e condannata.
Ma così non è: durante tutto il film siamo portati a stare con la Chastain, a schierarci dalla sua parte contro l'ottusità dei superiori e la poca determinazione dei colleghi. Lo spettatore è subdolamente indotto a comprendere e giustificare (anche se magari non ad approvare) i suoi mezzi, le sue scelte, il suo odio, il suo ottuso e cieco fanatismo e non è mai veramente portato a chiedersi cosa la distingua dal suo acerrimo nemico Bin Laden. Che è invece la vera chiave della Storia: e la risposta è niente! Niente distingue Osama da Maya perché entrambi sono due pazzi scatenati convinti di essere gli unici portatori della Verità e della Giustizia assoluta. Entrambi combattono la loro folle crociata. Entrambi vogliono l’annientamento del nemico a qualunque prezzo e sacrificio.
Perché allora quelle dannate lacrime? Perché Maya, alla fine, può essere compresa e trattata da essere umano, mentre Bin Laden no? perché l’odio di Maya è più sano e migliore di quello dei talebani? Come distinguere il fanatismo buono da quello cattivo? Molto semplice: non si può e non si deve.


Delle due l’una: o la Bigelow è una povera ingenua, una gran paracula ed una pessima autrice (nel senso che fa l’intellettuale mostrando un po’ di sana tortura e qualche marachella yankee, ma in fondo in fondo i talebani sono degli stronzi e se lo meritano di finire a quattro zampe con un collare al collo perché noi crediamo nella democrazia e nella pace mentre loro sono solo dei selvaggi che vivono coi cammelli nel deserto o con le capre nelle grotte…) oppure ha avuto un’incredibile intuizione, ma non ha avuto le palle di rimanerle fedele e portarla coerentemente fino in fondo: se Maya è come Osama, se la CIA agisce come e peggio dei talebani, se chiunque di noi solo per il condizionamento mediatico può trasformarsi in un fanatico crociato, allora non debbono residuare incertezze ed ambiguità di sorta. Bisogna avere il coraggio di gridarlo ad alta voce e non sussurrarlo dalle retrovie per poi rimangiarsi tutto sul più bello... Altro che regista cazzuta: avere le palle non significa mostrare un povero cristo che subisce il waterboarding, ma svelare la ragione che sta dietro quella tortura; e la ragione è che non ci sono MAI buone ragioni, ma solo follia, fanatismo e brama di potere. Oppure motivazioni di carattere personale (sempre valide proprio perchè soggettive), ma parliamo di un altro film…

Date le caratteristiche che la contraddistinguono, mi sarei aspettato di vedere Maya squartare Bin Laden a mani nude, strappargli le viscere dal corpo ancora caldo e mangiargli il cuore con burro d’arachidi innaffiando il tutto con una Bud bella ghiacciata (ovviamente sto esagerando, ma rende l’idea)... di fronte ad una scena così marcatamente grottesca avrei gridato al miracolo. Ma mi sarei anche accontentato di vedere la nostra eroina semplicemente perduta, smarrita, privata col suo nemico anche di ogni suo ulteriore senso esistenziale. Quelle lacrime liberatorie che solcano le belle guance della tenera Jessica, invece, costituiscono un oltraggio intellettuale e confermano definitivamente quella che fino a quel momento era solo una forte impressione di fondo: ossia che, per la Bigelow, noi siamo i buoni e loro sono i cattivi.
Per carità, ci può anche stare. Non entro nel merito delle opinioni politiche della regista. Ognuno ha diritto di pensarla come vuole. Quello che chiedo è solo semplice ed onesta coerenza intellettuale.  
Tutta la scena finale (veramente grandiosa da un punto di vista squisitamente cinematografico, con mezz’ora di caccia all’uomo in tempo reale raccontata attraverso la lente verdognola dei visori notturni) tradisce e svela questo doppio gioco morale: dopo due ore e dieci anni di documentario-spy in cui la Bigelow maschera una certa equidistanza e abbozza un timido tentativo di oggettività d’analisi, il film cede sul più bello e si schiera apertamente con i buoni: così, nell’ultima mezz’ora, l’adrenalina pompa a mille, l’empatia costringe a parteggiare e tutti noi, all’improvviso, ci troviamo in ansia  per le sorti della missione – anche se sappiamo già come andrà a finire – facendocela sotto ad ogni porta che si apre, ad ogni finestra che si illumina, ad ogni ombra che si muove nel buio.
Finalmente, qualcuno via radio annuncia: “Geronimo, for God and country, Geronimo". L’imperatore del male è caduto! sia gloria alla Forza! Lacrime, sollievo, incredulità. Mission accomplished! Maya può finalmente tornare ad essere umana, come se i dieci anni precedenti fossero stati solamente una parentesi a cui l'avevano costretta loro… ma dai!!!  

Zero Dark Vaffanculo!


Ribadisco: la Bigelow è americana ed ha tutto il diritto di pensarla come le pare sull’11 settembre, su quello che l’ha provocato e su tutto quello che ne è seguito. Però io odio i democristiani e sono allergico ad ogni forma di cerchiobottismo per cui preferisco il lercio patriottismo di “Rombo di Tuono” a quest’opera tecnicamente superba, ma intellettualmente ambigua e contraddittoria (per non dire molto furba e paracula).
Da che parte stai, cara Kathryn? Nessuno ti ha obbligato a saltare dentro le sabbie mobili per cui non ho la minima intenzione di mostrare indulgenza e comprensione.

Il film è sempre in bilico e non prende mai una posizione chiara, nemmeno da un punto di vista prettamente storico: insomma, il 2 maggio 2011 Bin Laden è stato veramente ammazzato da un commando di marines? O è l’ennesima panzana buttata in pancia ai media? Ci dobbiamo fidare di qualche foto sgranata e delle dichiarazioni di quattro reduci? Dobbiamo veramente credere che il corpo dell’uomo più ricercato ed odiato del pianeta sia stato semplicemente buttato in mare quando sappiamo che nove americani su dieci l’avrebbero volentieri impagliato ed appeso come trofeo alla parete del salotto… anche in questo caso la Bigelow non si esprime. Quando si arriva al dunque, la macchina da presa rimane a debita distanza e non certifica nulla. D'altronde, la stessa regista aveva fin da subito messo sapientemente le mani avanti: “the following motion picture is based on first hand accounts of actual events"… che si potrebbe tradurre più o meno in questi termini: “avevo anche la possibilità di giocare sull’enorme e decisivo ruolo dei media in tutta questa sporca faccenda, ma ho preferito rimanere sul vago e fare almeno finta che sia poi stato veramente ammazzato grazie all'operazione Lancia di Nettuno, se no diventava troppo complicato gestire il tutto e forse non ci stava più la scena del raid con i visori notturni che è una figata pazzesca…”. Ok, non proprio alla lettera ma il senso è quello...







GIUDIZIO SINTETICO: Salvo a pieni voti la grandissima direzione tecnica, l’ottimo cast e la Chastain, che è veramente gnocca. Ho adorato Marc Strong che grida “I want targets. Do your fucking jobs. Bring me people to kill” (unico momento veramente onesto di tutto il film). Per il resto, troppa finta retorica (che a volte è peggio di quella vera) e poco, anzi, pochissimo coraggio intellettuale. Poteva essere un capolavoro.

VOTO: 6-


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3 commenti:

  1. penso due cose.
    1) la chastain fa quello che vuole perchè è una figa pazzesca e quindi anche se vuole passare dieci anni a smenarsela dietro bin laden che comunque era un susanello di due metri con un pacco di soldi, lo può fare.

    2) mi chiedo come fanno gli americani ad avere sempre una frase già pronta per essere scolpita nel basalto ogni volta che fanno un qualcosa di storico. voglio dire: sei appena passato attraverso 40 tentativi di omicidio da parte di talebani doppiamente incarogniti perchè alla difesa del capo supremo, stai per ammazzare (forse, ma forse) il nemico numero ZERO del tuo paese, hai l'adrenalina in corpo che sembri una macchinetta per le bibite e hai il ghiaccio di fermarti, sparargli e dire qualcosa alla Fratelli Bandiera che dialogano con Mazzini?
    Ma come cazzo si fa? Geronimo, for God and Country, Geronimo...
    INCREDIBILE!
    Sorvoliamo sul fatto che gli Americani hanno sterminato (tra le altre) l'intera cultura pellerossa, sono secoli che fanno finta di scusarsi e poi vanno a caccia dello stronzo di Stato più clamoroso e lo chiamano come un Capo Indiano.... Insomma, alla faccia del politically correct...

    In ogni caso, detto questo, direi che condivido la lettura di 24 Secondi anche perchè avevo appena finito di vedere un filmone spettacolare (cazzata..) come CODE NAME: GERONIMO, che parla della stessa cosa ma con 100 miliardi di dollari in meno, con la "bravissima" Kathleen Robertson ad illuminarci con il suo strabismo di Venere, e sinceramente avevo già avuto tutto quello che mi serviva, sebbene, ribadisco, il film di cui sopra sia una superminchiata.
    Zero Dark Thirty alla fine mi aggiunge poco e quindi, essendo Code Name un film colpevole di crimini contro la cinematografia, mi chiedo perchè?
    Direi che la risposta è in questa recensione.

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  2. Allora:
    1) Kathleen Robertson era, è e resterà sempre una "bravissima" nel senso più assoluto, metafisico e letterale del termine. Punto. Il vero ed imperdonabile delitto di quella porcata di "Code name Geronimo" è che il "regista" costringe la nostra "bravissima" a recitare invece di escogitare pretesti per farla denudare e guardare in camera con quei suoi occhietti da cerbiatta strabica... altro che armi di distruzione di massa!!! questo è un vero e proprio attentato ai valori della democrazia e della libertà. Bastardo!

    2) Se gli americani non risolvono ogni situazione critica con una battuta ad effetto gli crolla l'intero sitema produttivo e lo spettatore medio non ci capisce più nulla. Non resistono. E' più forte di loro.

    3) "Zero dark Thirty" è un esempio di grande regia, ma di mediocre gestione dei personaggi rispetto al senso che il film vorrebbe avere. Oppure è un grande esempio di regia con una grande gestione dei personaggi ed una paraculaggine ed ipocrisia intellettuale con pochi precedenti nella storia del cinema. In ogni caso è un CA-PO-LA-VO-RO rispetto a quella cazzata di "Code name: Geronomo".

    4) "Code name Geronimo" è inguardabile, ma, alla fin fine, è forse più onesto di "Zero Dark Thirty". E' indifendibile da un punto di vista intellettuale, ma almeno è dichiaratamente schierato e non finge di essere altro da uno spot a favore della grande America...

    5) Kathleen Robertson è una figa pazzesca!!!!!!!!

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  3. Non so.
    Code Name Geronimo più ci penso e più mi porta lontano, in direzioni ancestrali di comprensione non solo geopolitica, ma anche filosofica ed interiore.
    Se ritorno con la mente allo struggimento pre-battaglia di questi combattenti con un cuore grande così mi vengono le lacrime e quasi quasi chiamo in Legione Straniera per sentire se hanno posti che-tanto-peggio-di-qua-non-si-sta-di-sicuro.

    Non è vero: è una gran cazzata. Forse onesto. Ma pietoso.
    E il regista andrebbe paracadutato a Tora Bora tra i Talebani incazzati come capre solo perchè aveva la Robertson tra le mani e non l'ha neanche spogliata. Neanche un pochino.
    Ma cosa sei, idiota??????

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