10/01/13

HOLY MOTORS (di Leos Carax)



Alcuni non credono più in ciò che vedono”. Sono lontani i tempi in cui bastava proiettare l'immagine di una locomotiva a vapore per far fuggire dalla sala una massa terrorizzata di spettatori… oggi, quegli spettatori, dormono inermi di fronte ad uno schermo non più capace di illuderli o emozionarli…

Benvenuti all’inferno secondo Carax. Il geniale regista francese, a 13 anni di distanza da "Pola X" (l'ultimo suo meraviglioso e conturbante lungometraggio), torna dietro la macchina da presa per interrogarci e, soprattutto, interrogarsi su cosa sia rimasto di questo magico carrozzone che è il Cinema… “Ti piace ancora il tuo lavoro? Te lo chiedo perché alcuni di noi pensano che hai l'aria stanca ultimamente". "Alcuni non credono più in ciò che vedono”. Beh, il film è un po’ tutto qui. Dietro questo doloroso scambio di battute tra Lavant e Piccoli si cela tutta la disillusione e la stanchezza di un regista che ha compreso come la morte del Cinema non sia solo nei suoi autori, ma anche e soprattutto nei suoi spettatori; non solo nell’industria, ma anche nell’utenza: “la bellezza è nell’occhio di chi vede, ma se non c’è più nessuno a guardare?” Eh già, se non c'è più nessuno a guardare, come la mettiamo?

L’incipit del film è un'assoluta dichiarazione di intenti: un uomo di mezza età (lo stesso Carax) si desta in piena notte (risvegliandosi da un "letargo" creativo durato ben 13 anni). La carta da parati della sua stanza, raffigurante una assai eloquente selva oscura, cela un misterioso passaggio segreto. Attraversandolo, il regista giunge dentro una sala cinematografica in mezzo a spettatori immobili come statue di sale… belle addormentate di fronte alla proiezione di un vecchio film. Un cane nero, novello Cerbero, si aggira per i corridoi. 
Come detto, benvenuti all’inferno.

 

Dopo questo breve epilogo la scena è tutta per Denis Lavant il cui personaggio, Monsieur Oscar, nel corso del film interpreterà, a sua volta, una decina di ruoli, tutti diversi, che costituiscono e rappresentano l’essenza magica e molteplice del Cinema: il noir, la commedia sentimentale, la fantascienza, il grottesco, la fiaba… ogni genere è un personaggio, ogni personaggio è una maschera e una storia diversa: Lavant impersona un ricco uomo d’affari, una povera vecchia ingobbita che da anni vede solo “pietre e piedi”; quindi un mostro verde di nome Monsieur Merde che rapisce una splendida fanciulla (Eva Mendes); e poi, ancora, un killer, una animazione grafica in uno studio di motion capture (in una delle scene più incredibili e memorabili del film), un musicista, un vecchio padre moribondo, perfino l’assassino di se stesso… ma se Monsieur Oscar può essere l’emblema dell’arte recitativa, il Cinema è invece una lucida limousine, elegante e cafona (come l'ha definita qualcuno), tecnologicamente superata dalle più agili vetture moderne; un tempo era capace di farci voltare per strada al suo passaggio, oggi risulta un accessorio costoso, ingombrante e persino poco interessante... nessuno, durante i vari spostamenti della macchina, sembra notarla né azzarda approcci curiosi. Sono passati i tempi in cui, trepidanti e sognanti, attendevamo che dalla limousine si manifestasse il divo irraggiungibile, si incarnasse la starlette splendente vista solo sugli schermi... M.M. è oggi Monsieur Merde, altro che Marylin...!

 

La limousine, guidata dalla misteriosa Celine, è però un luogo ambiguo e duplice: come detto, essa è il "sacro motore" che conduce Monsieur Oscar presso le varie location delle sue numerose performance; ogni volta con un volto e una maschera diversi; ma è anche un luogo di profonda intimità, un tempio pagano dentro il quale l’attore può concedersi, tra un trucco e l'altro, di rivelare, anche solo per un istante, il proprio vero volto. Non è un caso che Celine, prima di abbandonare l’auto alla fine del film, indossi a sua volta una maschera per affrontare il mondo esterno. Come a voler indicare che le maschere appartengono alla realtà quanto (se non più che) alla finzione... ma come è diversa la maschera di Celine, così neutra, così priva di tratti somatici, così "maschera" rispetto ai "volti" di Oscar... forse la realtà è fatta di così tanti trucchi, sotterfugi e travestimenti da aver soppiantato il cinema. Pretendiamo dal cinema che sia veritiero e credibile così da non svelare se stesso; nella realtà, invece, siamo così ciechi che basta una maschera grossolana e colorata per trarci in inganno. Non crediamo più a quello che vediamo; peggio, abbiamo smesso di guardare.


La limousine, così, con le sue carrozzerie sfarzose e un po' retrò rappresenta lo scintillio ormai affievolito del Cinema; al suo interno, tuttavia, pulsa un "cuore in allarme", sofferente e stanco, ma tenace e ancora non vinto. Dentro la limousine, dietro i trucchi e le maschere, c'è spazio per confidenze e confessioni. Ecco, di nuovo, la confusione dei piani: la realtà che precipita e si rivela nel teatro dell'illusione. Non può essere un caso che Michele Piccoli ponga ad Oscar la più cruciale delle domande proprio all'interno della vettura: “che cosa la spinge a continuare, Oscar?" "Continuo come ho iniziato. Per la bellezza del gesto”.

È molto difficile riuscire a svelare tutte le metafore, i simboli, le allegorie e le citazioni di cui Carax si è divertito a disseminare il proprio film. Probabilmente, un certo ermetismo e una certa dose di inintellegibilità paiono addirittura voluti. In ogni caso, anche se l'ambizione di poter risolvere ogni enigma è destinata a risultare una delusa speranza, rimane la bellezza sconcertante di un’opera singolarissima e struggente che rende omaggio e sintetizza tutta la meraviglia ed il mistero della settima arte. Di nuovo, la bellezza del gesto.
Forse, il cinema ha davvero perso la gratuità e l’ingenuità della pura bellezza; esso si confonde sempre più con la realtà al punto di trovarsi affannosamente a rincorrerla, a replicarla, a scimmiottarla. I due universi (la realtà e la finzione) sono ormai talmente simili e sovrapponibili che Lavant si sbaglia e uccide un uomo "fuori copione". Ma il cinema non è ancora morto… non del tutto. Agonizzante, attende che un prossimo inizio lo salvi da una fine imminente.

La giornata volge al termine e con essa la giostra dei personaggi interpretata da Lavant. L'uomo scende dalla limousine e, nel prendere commiato dalla fidata autista Celine, le da appuntamento al giorno dopo; ma, ancora una volta, Carax ci spiazza: tutto era iniziato con Monsieur Oscar il quale, dopo aver salutato i figli, saliva sulla vettura ove veniva reso edotto circa gli "appuntamenti" della giornata. Quello che scende dalla limousine, invece, è un uomo diverso: meno brillante, meno in salute, meno abbiente, il quale entra con poco entusiasmo in un condominio (e non più in una splendida magione dalle sembianze di nave) dove lo attende l’abbraccio della sua famiglia di primati. “Rivivere” canta la colonna sonora “Rivivere”. 
Dove comincia la realtà e finisce la finzione? Chi è, dunque, Monsieur Oscar? È un personaggio reale o, semplicemente, un altro trucco, un'altra maschera? Esiste l'uomo sotto gli infiniti travestimenti?


L’epilogo si svolge dentro un deposito chiamato “Holy motors”, ove l'autista Celine parcheggia la limousine in mezzo a molte altre. Come detto, il cinema non è ancora morto; qualcuno, ancora, si ostina a portare in giro quel sacro carrozzone di emozioni, suoni e luci. Nel buio del parcheggio, all’improvviso, le vetture si mettono a parlare tra loro e commentano amaramente: “Gli uomini non vogliono più motori, non vogliono più azione. Amen”. 
Coraggio, Monsieur Carax, non mollare! domani ci sarà una nuova limousine, un nuovo viaggio e nuove storie da raccontare. Come diceva il grande Fox Mulder: "I want to belive".


GIUDIZIO SINTETICO: Film unico ed irripetibile. Logico ed assurdo. Elementare e complessissimo. Come il cinema. Come la vita.


VOTO: 8






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