L’impressione preliminare è
quella che si tratti di un film premeditatamente radicale. Un prodotto nato e
pensato per dividere e per suscitare polemiche.
Da questo punto di vista, credo
che il risultato ottenuto da Srdjan Spasojevic – quantomeno rispetto
all’intento programmatico – sia del tutto eccezionale: il film, in effetti, ha
spaccato il fronte della critica e del pubblico ancor prima di essere
visionato.
Assolutamente straordinario è stato infatti il movimento di idee e riflessioni che ha preceduto e seguito la proiezione della pellicola.
Assolutamente straordinario è stato infatti il movimento di idee e riflessioni che ha preceduto e seguito la proiezione della pellicola.
Il fronte di chi vi si è opposto
“a prescindere”, talvolta arroccato su prese di
posizione di intransigente rigore, si è scontrato con le impressioni di
chi si è arrischiato a guardare, di chi ha provato a capire se e cosa il film
significasse.
Ne è seguito un dibattito (tutt’ora
aperto ed irrisolto, proprio come la questione dei balcani) che ha assunto toni
talvolta anche fortemente aspri ed aggressivi, che ha messo a confronto tra
loro pregiudizi ottusi, commenti colti, reazioni sdegnate, preclusioni
culturali, preconcetti morali e moralistici, curiosità morbose, considerazioni
stupide, valutazioni superficiali e critiche intelligenti.
C’è chi si è dichiarato scioccato, confuso, atterrito, attonito, disgustato, preoccupato per la propria e per la altrui coscienza… ma anche chi ha messo in guardia dal plagio, dalla pretestuosità, dalla miseria e povertà di contenuti, nonché dall’inutilità generale del progetto…
C’è, infine, chi ha apprezzato il
coraggio ed il rigore di un’opera così assolutamente e intollerabilmente
estrema.
In ogni caso, con le dovute
eccezioni, il dibattito è stato politico, tecnico, morale, addirittura
filosofico, squisitamente cinematografico…
Più di tutto, sconvolge il numero
e la qualità degli interventi (de)generati da un film che, probabilmente, non
verrà mai nemmeno distribuito in Italia in versione integrale e che,
dichiaratamente, non verrà nemmeno mai visto da chi si è comunque preso la
briga di giudicarlo e condannarlo: conto 81 pagine di interventi solo sul forum di Nocturno (in costante crescita) contro le 123 di “Avatar” (uno dei film più visti dell’intera storia del cinema)…
Qualcuno ha sottolineato l’importanza dell’origine serba del film. Quoto appieno.
La collocazione e connotazione
dichiaratamente balcanica – che viene rivendicata fin dal titolo – non può
essere assolutamente ignorata o sottovalutata se si vuole provare a dare un qualche
senso all’opera.
Lo ammetto: è fin troppo banale
evidenziare come i Balcani rappresentino il millenario palcoscenico di un
macabro teatro di guerra che vede ciclicamente i fratelli opporsi ai fratelli,
i padri ai figli, i vicini di casa tra loro.
Ma, come diceva Pasolini, "chi è arrabbiato è sempre banale…” e
probabilmente Srdjan Spasojevic è incazzato come una bestia. Nato e cresciuto
in una terra grandiosa e maledetta che è assieme una nazione e altre mille...
costantemente frammentata, divisa, riassemblata e poi nuovamente stuprata,
offesa e mutilata, sempre in attesa del prossimo genocidio.
Tale Babele razziale, ideologica,
culturale e religiosa costituisce l’indefettibile presupposto per provare
quantomeno ad intuire le ragioni per le quali il vicino di casa, l'amico
d’infanzia e addirittura il parente prossimo possa trasformarsi, improvvisamente,
in una vittima da stuprare o nel carnefice da temere.
Gli infiniti particolarismi di
questo piccolo fazzoletto di terra, pur essendosi combinati per secoli tra loro,
non si sono mai armonizzati in un composto equilibrato, anzi, proprio il loro
forzato e forzoso amalgama ha prodotto una miscela altamente instabile,
caratterizzata da una intensa e costante attitudine alla deflagrazione.
Fede, razza, lingua, soldi,
prestigio, rancore, potere, avidità, droga, mercato, armi, prostituzione
costituiscono, di volta n volta, innesco ed accelerante.
Il risultato della formula ha
prodotto un conflitto – quello jugoslavo appunto – che ha offerto uno degli
spettacoli più sconvolgenti ed aberranti degli ultimi decenni.
Un massacro barbaro, medievale,
pornografico…
Pornografico non tanto e non solo
per le efferatezze compiute (non diverse da quelle di mille altri palcoscenici
bellici) quanto, piuttosto, per il voyeurismo mediatico che l’ha
contraddistinto. La guerra nell’ex Jugoslavia è stata uno dei conflitti più
seguiti dai mass media di tutto il mondo i quali hanno alimentato e talvolta
generato nell’opinione pubblica un sempre più vorace bisogno di violenza, di
terrore, di orrore, innescando dinamiche
di repulsione/attrazione/straniamento non dissimili da quelle prodotte dal film
di Spasojevic.
Pornografico è il costante
bisogno dei mezzi di comunicazione di innalzare costantemente l'asticella che
segna il limite estremo del mostrabile... finché la visione di un bimbo
mutilato al tg della sera o l’immagine di un corpo straziato sulla prima pagina del giornale non saranno più spettacoli
intollerabili, orribili, osceni... e allora, che si espongano pure le
carni bruciate! le ferite putrescenti! le membra strappate! si mettano in
mostra le purulenti deiezioni! si versino sangue e viscere sul selciato!
In attesa che il ponte sulla
Drina ospiti ancora una volta, come macabre effigi, le teste mozzate dei prossimi
nemici!
Pornografica è questa esasperata
ricerca del dettaglio sempre più efferato, della visione insopportabile,
intollerabile, inaccettabile e perciò assolutamente sublime (“La guerra in Jugoslavia è stata meglio di
una scopata”, profetizzò Emilio Fede in tempi ancora non sospetti).
Tutto questo pippone per cercare
di spiegare il perché “A serbian film”
poteva essere (de)generato solamente in terra slava. E, soprattutto, perché la
pellicola dovesse necessariamente ricorrere ad un linguaggio e a dei contenuti
talmente estremi.
Non a caso, il regista ha
espressamente dichiarato che "questo
film è il diario delle angherie inflitteci dal Governo Serbo, il potere che
obbliga le persone a fare quello che non vogliono fare, devono sentire la
violenza per capirla".
I Balcani, come la sfera di vetro di “Quarto potere”, simboleggiano e racchiudono al proprio interno l’intera complessità del mondo.
I Balcani, come la sfera di vetro di “Quarto potere”, simboleggiano e racchiudono al proprio interno l’intera complessità del mondo.
Sono la triste e sconsolata
testimonianza di come la coesione tra i popoli e le razze sia ostacolata e
impedita dagli interessi economici, dai giochi di potere, dalle strategie
politiche, dalla stupida imbecillità umana…
“A serbian film” – in ultima istanza – racconta di una guerra
innescata, provocata, alimentata e combattuta all’interno di una famiglia che
si erige a simbolo e sintomo di una particolare condizione: quella umana e, più
in dettaglio, quella del popolo slavo (qualunque cosa ciò significhi).
Questa guerra, naturalmente,
porterà alla distruzione totale di tutte le forze in campo.
Il linguaggio impiegato, a sua
volta, riflette la descritta pornografia dei mass media ed il disturbante voyeurismo
di tutti noi spettatori fintamente innocenti.
“A serbian film” – si obietta – è un prodotto già visto, trito e ritrito, persino furbo: si sprecano i confronti ed i paragoni con i film di Ruggero Deodato, con i moderni e più efferati horror transalpini, per non parlare dei “Salò” e di qualche pazzo regista giapponese o coreano…
“A serbian film non ha inventato nulla di nuovo” gridano gli
scettici... Forse!
Mi chiedo, tuttavia, se ciò
costituisca un reale difetto ed un insormontabile limite… o se invece tali
considerazioni costituiscano nulla più di un mero gioco per cinefili privo di
implicazioni sul piano del giudizio... Posto, tra l’altro, che inventarsi
qualcosa di nuovo non costituisce necessariamente un merito, né rappresenta il
fine unico ed ultimo di un regista.
“A serbian film” mostra una famiglia costretta a subire esperienze assolutamente drammatiche e traumatizzanti, fino alla sua totale disgregazione ed autodistruzione.
Una via crucis laica e pornografica costituita da un’escalation di brutalità (sesso violento, sesso di fronte a bambini, stupro di neonati, stupro domestico, violenza, omicidio, strage, suicidio/omicidio).
Le ragioni di tale violenza e di
tale crudezza, pur nella loro contraddittoria ambiguità, sono state ampiamente
dibattute (arguta metafora della condizione balcanica, mero pretesto
commerciale, scontata provocazione artistica, critica dei mass media...).
La complessa e raffinata struttura narrativa utilizzata dal regista, tuttavia, mi induce a schierarmi a favore di Spasojevic e a non concordare affatto con la tesi della mera provocazione gratuita.
La complessa e raffinata struttura narrativa utilizzata dal regista, tuttavia, mi induce a schierarmi a favore di Spasojevic e a non concordare affatto con la tesi della mera provocazione gratuita.
Se si fosse trattato unicamente di scioccare lo spettatore… di sfondare le barriere del torture porn… di varcare i confini del non rappresentabile fissando un nuovo limite nell’ambito dell’esperienza oscena, sarebbe stato sufficiente seguire pedissequamente la lenta e drammatica discesa agli inferi di Miloš e della di lui famiglia: l’inganno, la violenza, la droga e la conseguente perdita di volontà; quindi gli abusi verso gli estranei, sui minori, lo stupro della propria moglie e del proprio figlio fino alla ribellione… alla carneficina vendicatrice… e alla inevitabile conclusione suicida.
Ripeto, se l'intento era scioccare, Spasojevic poteva limitarsi a mostrare l’orrore nel suo macabro ed atroce crescendo. Bastava seguire gli accadimenti nella loro semplice e pedissequa successione temporale. Perché, invece, la scelta di una struttura complessa? perché ricorrere ad una narrazione di tipo non lineare (ben più difficile da gestire)? E perché darsi tanta pena per realizzare immagini di tale bellezza e compostezza? Perché tanta cura per confezionare un lercio b-movie che nessuno distribuirà mai?
Ovviamente entriamo nel puro
campo della speculazione intellettuale, ma sono sinceramente persuaso che tali
scelte siano state impiegate per dare dignità e, conseguentemente, credibilità
all’opera. Il rigorismo formale e la complessità strutturale del film
costringono in qualche modo a non trattarlo alla stregua della tanta spazzatura
che riempie le videoteche di tutto il mondo, ma di considerarlo il prodotto di
una mente capace e pensante. E, pertanto, a provare ad andare alla ricerca di
livelli altri di comprensione.
Il racconto parte lineare, ma ad
un certo punto si interrompe, si aggroviglia, si riavvolge e ricomincia
procedendo a singhiozzi... Milos si risveglia coi postumi di una colossale
miscela di droghe… è imbrattato di sangue, la testa gli scoppia e non ricorda
nulla… cerca la moglie e il figlio ma non li trova… flashback allucinati e
allucinanti detonano nel suo cervello; la memoria è incerta, le immagini
confuse; paurosi ricordi affiorano nella sua mente ottenebrata… comincia
un’operazione di ricostruzione degli avvenimenti e di recupero del reale che –
narrativamente – sfrutta salti temporali, rievocazioni, anticipazioni e false
rappresentazioni.
Solo il ritrovamento di una videocamera e la visione del suo contenuto consente a Milos di colmare i vuoti, di riempire gli spazi, di dare una senso ai continui flashback.
L’assoluta padronanza dei tempi e delle tecniche narrative, unitamente all’elevatissimo livello della fotografia e della colonna sonora mi inducono a guardare la pellicola con occhi attenti e con la mente avida di indizi e potenziali chiavi di lettura. Se qualcuno si è preso la briga di tanto sbattimento, tenuto anche conto dei pochi mezzi a disposizione, merita quantomeno il beneficio del dubbio.
“A sebian film” è un enorme ed ingombrante punto interrogativo sul
ruolo dei mass media e su quello del cinema in particolare… la macchina da
presa come strumento di registrazione e di conoscenza… la responsabilità di
registrare un’immagine e la responsabilità di guardarla! Tutto il film, alla
fin fine, gira intorno a questo concetto.
Non può essere casuale la
circostanza che Milos riesca a conoscere e ricostruire gli avvenimenti accadutigli
solamente grazie alla visione (postuma) dei nastri magnetici ritrovati sul set.
Il film diventa così una sorta di “Blow-up” allucinato e degenerato, pornografico e osceno, una visione sadomasochistica e inquietante ma, allo stesso tempo, necessaria ed imprescindibile…. Solo il cinema racconta la verità! Solo attraverso l’arte si può davvero giungere alla conoscenza! Questa, in ultima analisi, sembra essere la tesi ultima e forse più interessante del film.
Il percorso che conduce alla
Verità, tuttavia, può rivelarsi doloroso e sconvolgente… per alcuni addirittura
insostenibile.
Se per Tarantino (“Inglorious basterds”) il cinema può
cambiare la Storia… Per Srdjan Spasojevic il cinema può farla conoscere, vivere
e ricordare.
La “visione” diviene un gesto di responsabilità, una scelta privata ed individuale che soddisfa e nutre il primario istinto umano: la sete di conoscenza.
GIUDIZIO SINTETICO:
“A serbian film” è una visione dolorosa e tremendamente disturbante!
È metafora impietosa ed
allucinata della guerra dei balcani!
È la spietata fotografia della
famiglia moderna!
È una profonda riflessione sul
ruolo e sulla responsabilità del cinema, dell’arte e della visione!
È un film fortemente “politico”
che si interroga sulle conseguenze dell’esercizio del potere e sui ruoli –
anch’essi politici – di vittima e carnefice!
Uno dei più importanti (non ho
detto belli) film del decennio!
DA VEDERE A PRESCINDERE
VOTO: 8
Concordo su tutto.
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